La Spezia in giallo La Spezia in giallo
Introduzione Da lunedì a sabato L'ultima magia
Il segreto del professore Il caso della donna scomparsa Dieci piccoli enigmi
Bellezze letali L'odore del diavolo

Il caso della donna scomparsa
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Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me
(Epitaffio sulla tomba di Immanuel Kant dalla Critica della Ragion Pratica. 1788)

PROLOGO

Il conte Carlo Alberto Bellini s’accese l’ennesimo prezioso sigaro dandogli fuoco con l’accendino d’oro che gli era stato regalato da un alto rappresentante della nobiltà inglese e che amava esibire nelle occasioni importanti. E quella lo era. Ogni 1° Luglio, infatti, i conti Bellini (lui e suo fratello Guglielmo Maria, detto Guy) usavano organizzare un raffinato ricevimento nella loro splendida residenza settecentesca. Era una specie di piacevole abitudine per il jet-set che abitava la riviera durante l’estate ritrovarsi a villa Bellini la sera del 1° Luglio a dare l’avvio alle vacanze. Questa almeno era, diciamo, la ragione ufficiale della festa, quella ufficiosa e in un certo senso più vera, era la possibilità data equamente a tutti gli ospiti di mostrare, sottoforma di abiti e accessori, la propria ricchezza a tutti gli altri. Era così, dunque, che la festa di inizio estate si trasformava in una passerella di alta moda.
Beatrice Paci Dettaro fece sbattere le folte ciglia fingendosi sorpresa.
"Mia cara, ma che delizioso abitino...!"
"Oh, è solo uno straccetto..." rispose Lavinia Ratti, ben sapendo che l’amica non poteva ignorare il fatto che lo straccetto era firmato da un noto stilista e disegnato apposta per lei.
"Oh, guardate: arriva la balena bianca...!" sghignazzò Camilla Lotti posando la coppa di spumante rigorosamente italiano che stava sorseggiando, e indicando con lo sguardo l’imponente sagoma che aveva fatto il suo ingresso nella grande sala sapientemente affrescata a suo tempo da un famoso pittore ligure.
Maria Gabriella Torre Roscotti , si guardò attorno con sguardo furente. Goffa dentro un vestito troppo stretto, con il volto arrossato dal sudore e dalla rabbia, traversò la sala senza degnare di un solo sguardo le tre gentili signore che la squadravano beffarde.
"Che altro si sarà inventata questa sera..." riprese ironica Camilla.
"Lasciala perdere cara, è solo il peso delle corna che le fa suo marito e la sua naturale mancanza di stile..." rispose Beatrice.
"Non mi dire che quell’insignificante vermiciattolo di Ovidio Roscotti ha trovato qualcuna che ci sta, oltre a quella balena di sua moglie?" intervenne Lavinia
"Sei fuori moda, cara: non lo sai che il tipo tutto muscoli non fa più tendenza? Oggi sono i mollicci e sudaticci intellettuali come l’insignificante Ovidio a trovare le donne più belle!"
"Davvero? E chi sarebbe allora l’amante di Ovidio?"
"Ma come, non lo sai, cara! Si tratta della fotomodella più richiesta del momento: l’apparentemente inavvicinabile Melissa Re!"
"Santo Cielo, ma io credevo che fosse fidanzata col conte Guy!"
"Beh, sarà anche fidanzata con lui, ma ti garantisco che frequenta Ovidio e forse anche altri..." sorrise maliziosa e ironica a un tempo, la sempre ben informata Beatrice Paci Dettaro, erede dell’enorme fortuna immobiliare sapientemente accumulata da un padre molto più scrupoloso e intelligente di lei.
Maria Gabriella Torre Roscotti, inconsapevole dei velenosi commenti che su di lei si facevano, traversò nuovamente e in senso inverso la sala, facendo traballare il suo gelatinoso decolletè che pareva voler trasbordare dalla scollatura da un momento all’altro. Era sempre più sudata, e i suoi furenti e sfuggevoli occhi scuri vagavano frenetici in cerca di qualcosa o di qualcuno.
Il professor Ovidio Roscotti, seduto in disparte su un antico divano di pelle scura (del quale si diceva che fosse addirittura appartenuto a lord Shelley), sollevò lo sguardo dal pesante volume che stava consultando, appena in tempo per vedere l’imponente mole della sua signora ballonzolargli accanto, senza neanche accorgersi di lui, e sparire maestosamente dietro la porta della veranda. Fu un sarcastico sorriso quello del professore, che durò lo spazio di un secondo, per restituire poi al suo volto scarno quella perenne aria indifferente che lo caratterizzava.
La veranda sporgeva sul mare e dominava quella piccola insenatura del golfo della Spezia, che, in tempi neanche tanto remoti, aveva ospitato personaggi che erano stati veri protagonisti della storia italiana.
Due persone sedevano sotto il porticato della veranda, sembravano intimi e sorseggiavano entrambi il loro drink godendo di quel paesaggio più unico che raro: un mare immenso e scuro, punteggiato delle luci riflesse dei natanti in rada e delle case a riva. L’ingresso di Maria Gabriella li fece sobbalzare, tanto erano assorti nella loro conversazione. Fu un attimo e la donna appena entrata artigliò la spalla nuda e abbronzata dell’altra, con la stessa ferrea determinazione di un rapace che afferri la propria preda. Melissa si voltò, facendo ruotare con grazia l’esile corpo a malapena coperto da un leggero abito di seta nera. Era bella Melissa, e le mogli infuriate dovevano esserle abituali come i conti ad un banchiere. Guardò la collera negli occhi di Maria Gabriella e ne rise. Ma la signora Roscotti non era in vena di scherzi, la rabbia salì fino ad ottenebrarle la ragione. Un sonoro ceffone colpì la guancia imbellettata di Melissa che, colta di sorpresa, indietreggiò in malo modo andando ad urtare il prezioso sécretaire di radica di noce, il quale, traballando fece cadere a terra la vecchia porcellana Royal Copenhagen che faceva bella mostra di sé, appoggiata troppo in bilico sul bordo del mobile. Il rumore che il vaso provocò cadendo, fu come uno sparo nella notte, così che tutti ammutolirono sorpresi da una nota stonata nella solitamente perfetta sinfonia di quella festa di inizio estate.
Ovidio Roscotti dovette, gioco forza, scuotersi dal suo abituale torpore e accorse incuriosito nella veranda. Molti degli altri ospiti fecero lo stesso. Così fu un pubblico discretamente numeroso quello che assistette alle parole della signora Roscotti
"Sgualdrina che non sei altro! Come ti permetti, tu... tu, piccola serpe velenosa e insignificante...!!"
"Suvvia Dedé, cerca di calmarti..." intervenne Ovidio
"Calmarmi? Calmarmi?! Taci! Sei una nullità, solo una nullità: non pensare di usare i miei soldi per pagare i conti di questa qua... e non chiamarmi Dedé!"
"Ma.. ma che diavolo succede?" domandò il conte Guy, che d’un tratto aveva realizzato che la sua bella non era solo sua.
"E già" ne approfittò Maria Gabriella "togliti quell’aria stupefatta dalla faccia, caro conte, non lo sapevi che la dolce Melissa non concede solo a te i suoi favori?"
"Ma che dici?" ringhiò il conte, che di nobile, oltre al titolo, aveva ben poco e che era famoso per l’irascibilità del suo carattere.
"Domandalo ad Ovidio. E già che ci sei, chiedigli dove e con chi ha passato lo scorso fine settimana..."
Il conte voltò il suo sguardo furente verso il mingherlino professore, il cui imbarazzo, ormai era evidente e si concretizzava in quella fitta rete di goccioline di sudore che imperlavano il suo volto terreo.
"Ecco...io.." balbettò
Intanto Melissa doveva aver pensato che una dignitosa ritirata probabilmente era il male minore e si era defilata in silenzio, approfittando del fatto che l’attenzione di tutti era ora puntata sui due uomini
"Quella stordita della tua segretaria, caro," aveva ripreso ironica la signora Roscotti "ha pensato bene di rivolgersi a me (effettivamente non so se con malizia) per chiedere riscontro di una ricevuta della mia carta di credito emessa da un albergo di Montecarlo e intestata a Ovidio Roscotti e signora... Peccato che io a Montecarlo siano anni che non ci vado! Non è stato tanto difficile poi scoprire chi era la tua compagna in quel frangente. Devi proprio avere poca stima della mia intelligenza per non esserti neanche premurato di nascondere un po’ meglio le tue scappatelle! Sai una cosa, caro marito? Non m’importa poi molto con chi vai a letto, ma non pagare le tue amanti con i miei soldi!" e detto ciò Maria Gabriella si voltò e a lunghe e pesanti falcate guidò la sua grassa figura lontano dal marito fedifrago. Il conte Guglielmo Maria Bellini, che certo non era famoso per la capacità di controllarsi, anche in quell’occasione non si smentì e centrò il povero Ovidio con un sonoro cazzotto sul naso.
A calmare gli animi dovette intervenire il conte Carlo Alberto Bellini che con la sua sola aristocratica presenza riuscì a salvare la situazione. Accompagnò fuori il fratello e lo rabbonì con un buon bicchiere di Brunello di Montalcino, perché, come tutti sapevano, non c’era malumore che il giovane Guy non potesse curare con una buona bevuta. Il povero Ovidio fu invece affidato alle attenzioni di un noto medico presente alla festa che tamponò l’epistassi che il pugno gli aveva procurato e tentò di consolarlo con qualche buon consiglio. Però la festa di inizio estate di quell’anno divenne l’argomento principale dei pettegolezzi delle signore e delle battute dei signori. E di tutti gli sforzi che il conte Bellini senior aveva fatto per cercare di salvare la serata, nei ricordi della gente non rimase traccia: tutti rammentavano solo la litigata fra i coniugi Roscotti e la rissa che ne era seguita.

   CAPITOLO I

Il Maresciallo Saverio Lo Giudice guidava nell’oscurità della notte, sotto una lieve pioggerellina estiva che, cadendo, prima di essere spazzata via dal tergicristallo, danzava lievemente nell’aria.
Sfrecciava con la sua utilitaria blu lungo la statale "Napoleonica" e lasciava che la sua mente vagasse a briglie sciolte lungo le strade della memoria: si rivedeva bambino giocare sul greto di un fiume in tempi assai diversi, senza paure né pensieri... Rallentò e svoltò su via dell’Aeroporto in località Cadimare. Fu solo per caso che volse lo sguardo proprio da quella parte, proprio in quel momento e vide qualcosa che, ancora prima che il cervello potesse metterlo a fuoco, il suo intuito da Carabiniere aveva già classificato come insolito e degno d’attenzione. C’era infatti un’automobile parcheggiata in modo assai bizzarro: si trovava praticamente al centro di una strada laterale che costeggiava il piccolo cimitero. Certo, oggi gli automobilisti indisciplinati che parcheggiano a loro piacimento nei posti più impensati fregandosene del codice della strada, sono all’ordine del giorno, eppure... eppure Saverio avvertì una particolare sensazione che lo costrinse ad accostare e a scendere per dare un’occhiata.
Si trattava di una Alfa Mito rossa. L’oscurità della notte e la pioggia che continuava a cadere non gli agevolarono il lavoro, ma poté comunque constatare che effettivamente la macchina risultava chiusa a chiave e parcheggiata come se si trovasse in un normale parcheggio anziché in mezzo ad una strada. Sì, perché era proprio una strada a tutti gli effetti, non una via privata o qualcosa che in qualche modo potesse giustificare la posizione della Mito. Lo Giudice non se la sentì di ignorare quella brava vocina di Carabiniere che lo esortava a vederci chiaro. Si rese conto che la Mito rossa presentava un’altra strana particolarità: sul lato sinistro del paraurti anteriore, deformato come se avesse preso un colpo, c’era incastrato un lembo di stoffa grigia, apparentemente il pezzo finale di una manica di giacca. Saverio si avvicinò e chinandosi ispezionò da vicino l’ammaccatura. Ad un primo colpo d’occhio non gli parve di riscontrare tracce di sangue, ma l’oscurità e la pioggia non gli permettevano di vedere bene. Armeggiò nelle tasche dei pantaloni e riuscì a trovare una piccola torcia elettrica che teneva fissata ad un mazzo di chiavi come portachiavi. Per far ciò aveva appoggiato l’ombrello per terra, del tutto incurante della pioggia che ora lo stava bagnando completamente. Alla luce della torcia poté constatare che la stoffa era stata strappata in quanto i lembi erano irregolari e risultava agganciata al paraurti, proprio dove iniziava l’ammaccatura che di certo era recente: là dove la vernice era saltata via, infatti, non vi era ancora traccia di ruggine. Non riuscì, invece, a capire se vi fossero residui organici di qualche tipo. Avrebbe voluto fermarsi ancora per raccogliere altri indizi, ma era tardi, la pioggia aumentava e l’indomani avrebbe dovuto prendere servizio presto, così si limitò ad annotare il numero di targa e risalì sulla propria auto, deciso ad approfondire l’indagine la mattina successiva.

   CAPITOLO II

Guardai il piccolo Eros che finalmente alle due del mattino si era deciso a riprendere sonno, e mi domandai come avrei fatto ad essere puntuale all’appuntamento che avevo solo poche ore più tardi, dal momento che praticamente non avevo chiuso occhio. "Pazienza" sospirai e mi venne comunque da sorridere, perché ogni volta che guardavo mio figlio lo trovavo praticamente perfetto, con i suoi riccioli d’oro e gli occhi color foresta ereditati tali e quali da suo padre. E ogni volta che lo guardavo mi pareva come se un grande grazie mi scoppiasse dentro il cuore, perché non potevo pensare a lui senza che la parola miracolo mi venisse alle labbra, anche (anzi soprattutto) se al parco ogni mattina incontravo altre decine di miracoli come lui e con le loro mamme mi lamentavo di quanto poco essi ci facessero dormire...ciò nonostante decisi che era molto meglio tornare con i piedi per terra e cercare di dormire almeno un paio d’ore, dato che l’incontro che avevo quella mattina mi impensieriva non poco. Una mia cara amica dei tempi del Liceo, infatti, mi aveva contattato confidandomi che era molto preoccupata per il figlio dodicenne che da qualche tempo mostrava comportamenti strani, a lui non usuali, e un certo grado di introversione, troppo improvvisa e accentuata per essere solo un tratto caratteriale o un fatto adolescenziale. Questo almeno era quello che mi aveva raccontato la mia amica, pregandomi di parlare in modo informale con il ragazzo per vedere se la mia esperienza di psicologa poteva aiutarlo. "Figli piccoli, pensieri piccoli, figli grandi pensieri grandi" aveva sospirato salutandomi, e facendomi letteralmente ghiacciare il sangue nelle vene, dato che mio figlio, di nemmeno un anno, di pensieri comunque me ne dava, e non pochi.
Fu così che quando mi presentai all’appuntamento con Claudia e con suo figlio Alessandro avevo due grosse "borse" viola sotto gli occhi che avevo maldestramente cercato di nascondere con un po’ di fondotinta. Ci eravamo messe d’accordo per vederci in un bar del centro di Sarzana, dando così all’incontro un sapore occasionale in modo da non imbarazzare troppo Alessandro.
Alessandro era un bel ragazzino dall’aria vivace e vagamente scanzonata e quel mattino mal celava il malumore nato evidentemente dal dover accompagnare la mamma ad un appuntamento che ovviamente lui considerava di una noia mortale. Ci sedemmo nel dehor del bar che si trovava in una delle piazze secondo me più affascinanti della nostra provincia. Naturalmente Eros non ne voleva sapere di starsene buono dentro al suo passeggino e per i primi dieci minuti della nostra piccola riunione l’attenzione fu rivolta solo a lui e ai suoi gorgoglii di protesta. Poi, per fortuna, il raccoglitore di tovagliolini di carta in dotazione a tutti i tavoli del bar, catturò la sua attenzione e mio figlio si ritenne soddisfatto di poterlo toccare mettendo sottosopra tutti i tovagliolini lasciandoci così chiacchierare.
"Beh, Alessandro, tua mamma mi ha detto che anche quest’anno sei stato promosso con ottimi voti" cominciai io, tanto per spostare l’argomento sul ragazzino.
"Già" rispose lui, senza aggiungere altro non agevolando così molto il mio compito.
"Sì, è bravo a scuola, questo non lo posso negare, ma di quello che fa durante il giorno non mi racconta mai niente..." s’intromise la madre, pensando, forse, di aiutarmi in qualche modo.
Lui sbuffò e guardò da un'altra parte.
Decisi comunque di afferrare il gancio che Claudia mi aveva fornito e dissi: "Ma certo che non ti racconta niente! E’ normale a dodici anni volere un po’ di privacy. Scommetto che carino come sei hai anche una fidanzata...!" aggiunsi pensando che una simpatia con una coetanea era probabilmente il motivo più plausibile del suo cambiamento di umore.
Alessandro infatti arrossì senza dire nulla.
Non volli insistere, così cambiammo argomento e per il resto della mattinata continuammo a chiacchierare piacevolmente del più e del meno. Però io non smisi di osservare il ragazzo, che effettivamente pareva assorto e immerso in pensieri tutt’altro che sereni. Ad un certo punto lo vidi ricevere un sms sul cellulare e sbiancare letteralmente. Sua madre non ci fece caso, ma io notai la sua frenesia nel rispondere e il tremore delle mani mentre digitava il messaggio di risposta. Cominciai a pensare che forse c’era qualcosa di effettivamente preoccupante dietro l’atteggiamento del ragazzo. Eros però era stufo della sua mattina dentro al passeggino e cominciava anche ad aver fame. Così decisi che avrei potuto continuare la mia, diciamo così, osservazione del ragazzo in un altro momento e in un altro luogo.
"Lo sai che dove abito io c’è una bellissima piscina con lo scivolo e circa cinquanta cani?" dissi sperando di stuzzicare la sua curiosità.
"Davvero?" disse finalmente interessato.
"Certo – interloquì Claudia – la mia amica è la moglie di un famoso ex regista cinematografico, che tu non conosci solo perché sei troppo giovane, ma negli anni sessanta tutte le donne del mondo erano innamorate di lui!"
Mi venne da sorridere, anche se in effetti quello che diceva era vero: Maurizio Diada era stata una leggenda del cinema e ancora si parlava molto di lui anche se erano più di vent’anni che si era ritirato dalle scene, per vivere nella sua splendida tenuta chiamata l’Angerona producendo vino e allevando cani. Maurizio era un uomo inusuale e molto affascinante cui l’ictus patito qualche anno prima non aveva tolto nulla, tranne l’uso delle gambe. La ragione per la quale fra tante donne che aveva conosciuto e anche amato avesse deciso di sposare me, proprio non mi riusciva di capirlo...
"Tuo marito è un regista?" disse Alessandro, al quale la cosa doveva sembrare piuttosto eccitante.
"Lo è stato, prima che io lo conoscessi, però. Mi risulta che qualcosa di suo compaia a volte anche nelle antologie scolastiche... Può darsi che ti capiti di trovare il suo nome durante i tuoi studi..."
"Davvero! Potrei venire a casa tua a provare la vostra piscina?"
"Ale, non essere maleducato! Cosa fai, ti inviti da solo!?"
"Lascia stare, Claudia, sono felice che venga. Anzi può portare anche qualche amico: vedrai si divertiranno e poi ci sarò io a tenerli d’occhio... e anche Maurizio, così se Ale vuole parlare con un vero regista ne avrà uno tutto a sua disposizione" dissi io sperando che Claudia capisse l’opportunità che sarebbe stata per capire il problema del ragazzo poterlo osservare con i suoi amici.
Lei forse non capì, ma acconsentì ugualmente.
"E vai!!" esclamò il ragazzino.